Rio Unini, la lotta degli indigeni per vivere nel parco: tra banani, manioca e serpenti velenosi 

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Navigando in un ginepraio di bracci di fiume, con gli uomini dell’equipaggio scortati da Wilson, forestale del Parco Jaù, l’Amalassunta approda al villaggio Lago das Pedras mentre è in corso una festa religiosa. Sebastiao, un piccolo uomo con un cappello di paglia in testa simile a quelli dei vietcong, spiega ad Angelo e Giovanni che dopo la caduta della dittatura militare, nel 1995, hanno creato un’associazione. “Il governo ci voleva mandare via, dicevano che in un parco non doveva viverci nessuno, dovevamo andarcene”. Il Resex è nato su terre di pubblico dominio, dopo lunghe lotte collettive, concesse per l’uso delle popolazioni estrattive tradizionali con l’obiettivo di proteggere i mezzi di vita e cultura di queste popolazioni, e garantire l’uso sostenibile delle risorse naturali, una forma di agricoltura biologica familiare comunitaria che preserva la biodiversità.
Il giorno seguente Paulo, un coltivatore della Riserva estrattiva, accompagna in barca i due reporter a vedere la sua piantagione di banani e manioca, “molto lavoro e pochi soldi”, come definisce la sua attività, che basta a malapena alla sopravvivenza. Camminando nella selva, in una zona popolata da serpenti velenosi come il Jaracoca o il Sucucrucù, ricorda quando proprio qui è stato morso dal ragno Kairare, ha iniziato ad avere delle vertigini, “vedevo le stelle” dice, “poi tutto nero, alla fine sono svenuto”.

Lo speciale: viaggio sul fiume Mondo

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