L’accusa del padre di Attanasio: “Basta silenzi sulla morte di Luca. Dall’Onu un muro di gomma”

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“Più il tempo passa e più si rischia l’insabbiamento. Abbiamo bisogno di uno Stato con la schiena dritta che non si genufletta davanti alle grandi potenze come l’Onu”. Parla Salvatore, il padre di Luca Attanasio, l’ambasciatore italiano ucciso in un attentato nella Repubblica Democratica del Congo il 22 febbraio insieme alla guardia del corpo Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo. Un piccolo collettivo di giornalisti investigativi che si chiama Darkside, lo ha invitato martedì sera alla diretta social: “Attanasio, morte di un ambasciatore”, con Matteo Giusti, autore dell’omonimo libro, e l’attivista congolese John Mpaliza. Il dottor Salvatore ha accettato e ha denunciato: “Le indagini sono a un punto morto. A cosa è valso darsi da fare per gli altri come ha fatto Luca, se non c’è giustizia?” Il presidente della Rdc, Félix Tshisekedi, in una recente visita a Roma, ha dichiarato di avere arrestato quattro balordi, presunti complici dell’attentato.

“Attanasio non è stato protetto”: indagato funzionario dell’Onu

di

Giuliano Foschini

Fabio Tonacci

09 Giugno 2021

Dottor Attanasio che idea si è fatto di quello che è successo?

E’ stato un agguato in piena regola. Cercavano proprio lui. Non è stata l’azione di criminali comuni”.

Perché proprio l’ambasciatore italiano?

“Questo è il punto. Non lo so. Luca era la persona più trasparente dell’acqua. La sera prima era stata diramata un’allerta su Goma, di cui Kinshasa non sapeva nulla, ed erano stati richiamati i militari che presidiavano la zona in cui è stato ucciso. E’ un caso? Vicino al luogo dell’attentato c’era una postazione militare. Al momento dell’attacco era vuota”.

Cosa si è fatto finora per consegnare alla giustizia i killer di Luca?

“Poco. Bisogna fare pressione sul nostro governo perché si muova. C’è molta reticenza, molta omertà. La gente ha paura di parlare. E non c’è collaborazione da parte congolese”

L’agenzia Pam dell’Onu (Programma alimentare mondiale) era il responsabile della sicurezza durante il viaggio in cui l’ambasciatore è stato ucciso. Collabora?

“No. Si trincera dietro lo scudo dell’immunità. L’Onu è un colosso e ci sono delle forti resistenze.  Per i nostri inquirenti è difficile anche solo interrogare i funzionari Pam. Io mi fido dei Ros. Ma sono davanti a un muro di gomma”.

Cosa si può fare? Cosa si aspetta?

“Devono intervenire i nostri servizi e la nostra diplomazia per fare in modo che gli inquirenti svolgano il loro lavoro.  Invece li mandano laggiù e li abbandonano. Non possono bussare alle porte dell’Onu se non sono sostenuti. Se intervenisse l’Europa forse vedremmo uno spiraglio. Ma non fa nulla. L’uccisione di Luca è un precedente gravissimo. Vuol dire impunità per chiunque voglia uccidere un rappresentante di Stato”.

Rocco Leone, numero due del Pam in Congo, era l’uomo che avrebbe dovuto assicurare la sicurezza della missione. Ora è tornato a sedere sulla sua poltrona a Kinshasa. Che idea si è fatto di lui?

“Ha dato tre versioni diverse. Deve spiegare parecchie cose. Ma si nasconde dietro l’Onu. La disposizione delle persone nei due veicoli e delle auto in strada è tutta da chiarire”.

Ci spiega meglio?

“Posso solo dire che le cose non sono come sembrano. Abbiamo sentito Luca quella mattina, alle 8.30, un minuto prima che salisse in auto. Era felice. Dopo ci ha mandato un video per farci vedere il traffico di Goma. Questo filmato racconta come stavano davvero le cose. E’ nelle mani degli inquirenti”.

Morte Attanasio, i ribelli hutu sotto accusa: “Italia Paese amico, non l’avremmo mai colpita”

di

Raffaella Scuderi

22 Giugno 2021

Secondo quello che ha detto in Parlamento la viceministra degli Esteri, Marina Sereni, era lo stesso ambasciatore Attanasio “la figura individuata quale datore di lavoro, cui spettano, nell’ambito della propria autonomia gestionale e finanziaria, la valutazione dei rischi”, ecc…

“Sciocchezze. Deve aver letto un discorso che le ha preparato qualche burocrate. Se si fosse informata avrebbe saputo che Luca era stato già due volte nel Kivu. Quando era lì, mi hanno detto i frati saveriani, il piazzale era pieno di polizia e di militari dell’Onu e dell’esercito congolese. Ma in quel caso lui aveva organizzato il viaggio. L’ultima volta era ospite del Pam. Loro dovevano garantire la sicurezza”.

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“Luca ha reso onore a questo Paese e al Congo. In cambio l’Italia e l’Europa devono rendergli giustizia”

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