Battaglia sul ruolo dell’Italia per la gestione degli sbarchi, Draghi blocca i “falchi” e fa rimuovere le accuse all’Italia

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BRUXELLES – Non è giorno di vittorie, conta soprattutto evitare sconfitte. Mario Draghi lo capisce quando i Ventisette si avvitano a battagliare sul destino dei migranti. L’ordine degli interventi è saltato da un pezzo, ogni Paese rilancia. La conferenza stampa slitta di almeno tre ore. In mezzo ci finisce l’Italia, attaccata dai falchi del Nord sul fianco più debole, quello dei movimenti secondari. Da anni rimproverano il fatto che Roma controlla a fatica gli immigrati che approdano sulle nostre coste per poi superare i confini. Nella prima bozza di documento finale si cita questa dinamica, condannandola. Tocca al premier, assieme ad altri, mediare. Propone anche di spostare una virgola per modificare il senso di una frase, cerca di togliere l’Italia dall’angolo. «Mario to the rescue», allenta la tensione uno dei leader, «Mario viene in soccorso».

“Niente soldi per i muri”. Bruxelles divisa sui migranti

dal nostro corrispondente

Claudio Tito

22 Ottobre 2021

Soprattutto di se stesso, a dire il vero. La riforma dei migranti è in stallo, rimandata a data da destinarsi. La proposta della Commissione per finanziare i Paesi prioritari da cui partono i flussi — in modo da contenerli — è ancora tutta da elaborare. Il governo italiano, insomma, non può accettare anche una bacchettata sui movimenti secondari. «Nel testo originario non c’era il punto dell’equilibrio tra responsabilità e solidarietà», ricorda Draghi. Con la correzione, si mette in chiaro che la redistribuzione dai Paesi di primo approdo vale quanto lo stop ai movimenti secondari. «Per una strana eterogenesi dei fini — rileva — quello che doveva essere un paragrafo sul finanziamento dei muri non contiene questa possibilità, ma apre uno spiraglio sulla discussione intorno al Patto di asilo e di migrazione, ferma da un anno».

C’è anche dell’altro. Le barriere anti-migranti richieste dall’Europa dell’Est non saranno pagate da Bruxelles: «Non è vero che c’è un’apertura al finanziamento. La Commissione non è d’accordo. E anche al Consiglio europeo in tanti, noi compresi, non sostengono questa possibilità». Per il resto, però, poco si muove e quasi tutto deve ancora accadere.

Il presidente del Consiglio ne discute con Macron, mezz’ora prima della plenaria, dopo aver letto che le Figaro titola sulla “Rivoluzione Draghi”. Sanno entrambi che l’Unione vive in una fase complessa, indebolita dai sovranismi dell’Europa orientale e fiaccata dallo stallo tedesco. Almeno su un punto il premier italiano pensa di poter incidere assieme al Presidente francese: smuovere la Commissione. Trainarla, farla avanzare nonostante la “vacatio” tedesca. C’è da modificare il patto di Stabilità, «abbiamo un anno per lavorarci — dice — anche perché più d’uno dubita che oggi funzioni bene…». E c’è da elaborare la riforma dei migranti. Se ora è congelata, che almeno si agisca nell’individuazione dei Paesi prioritari a cui poi distribuire le risorse. Ha a cuore ovviamente soprattutto Tunisia e Libia.

Ci sono anche le trattative sul fronte italiano ad occupare la mente del premier. Ne parla in conferenza stampa, interpellato sulle pensioni. Sostiene innanzitutto che l’epoca di Quota 100 è sotterrata per sempre: «L’importante è tenere fisso il fatto che non verrà rinnovata». Lascia poi intendere che la mediazione su un biennio a Quota 102 e 104, che non piace a Lega e sindacati, non è un pacchetto chiuso: «Ora occorre assicurare una gradualità nel passaggio verso la normalità».

La proposta finale arriverà la settimana prossima con la legge di bilancio, ma il Carroccio già apre a Quota 102. Un altro decreto sarà varato martedì prossimo e conterrà misure per rimuovere alcuni degli impedimenti all’attuazione del Pnrr. È atteso da un po’, ma secondo il capo dell’esecutivo non ci sono ritardi: «Abbiamo sempre rispettato gli appuntamenti». E anche la legge sulla concorrenza alla fine arriverà, dopo diversi slittamenti.

«Entro fine ottobre», assicura. A metà pomeriggio l’ex banchiere sente al telefono Silvio Berlusconi. I sovranisti d’Italia non sono certo amati dai popolari europei, possibile che il Cavaliere abbia toccato con mano al vertice Ppe la diffidenza verso gli alleati. Di certo, quando domandano a Draghi di Matteo Salvini ed eventuali mal di pancia a Bruxelles, il premier è netto. «Non mi hanno chiesto nulla. E comunque nessuno ha dubbi che questo governo sia europeista».

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