Quando le famiglie arcobaleno si separano: “Serve il riconoscimento dei nostri figli alla nascita”

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Alessia Crocini e Chiara Pizzolo sono state insieme sette anni e hanno avuto un figlio, Levon. Quando la loro storia d’amore è finita, e si sono separate, hanno dovuto affrontare non pochi problemi burocratici. Le famiglie omogenitoriali in Italia scontano una serie di vuoti normativi che ledono i loro diritti. Legalmente, infatti, i bambini hanno un solo genitore perché le coppie dello stesso sesso non possono riconoscere i figli alla nascita. Ogni volta che Alessia deve muoversi con Levon, ad esempio quando va all’estero, ha bisogno del consenso scritto di Chiara. Anche il percorso intrapreso della stepchild adoption (l’adozione del figlio del partner), senza l’accordo di Chiara si risolverebbe in un nulla di fatto. Alessia, non essendo il genitore biologico, come mamma non esiste. “Per l’unione civile non è prevista la fase di separazione, come in caso di divorzio nel matrimonio, bensì lo scioglimento”, spiega l’avvocato Vincenzo Miri, presidente di Rete Lenford che tutela le persone lgbt. Non ci sono dati ufficiali, ma secondo le richieste di tutela che arrivano a Rete Lenford, il 15% delle unioni civili si scioglie. I figli nati nell’unione non sono automaticamente della coppia: soltanto uno dei due, il genitore biologico, è quello legale. “Dal 2014 la giurisprudenza ha ammesso la stepchild adoption per le famiglie omogenitoriali – conclude Miri – ma è una tutela fortemente limitata che discrimina sia i bambini che le coppie omosessuali”. Quale soluzione possibile? Alessia Crocini, presidente dell’associazione Famiglie Arcobaleno, non ha dubbi: “Il riconoscimento alla nascita per entrambi i genitori e l’estensione del riconoscimento ai minori già nati, anche in caso di genitori oggi separati”.

di Camilla Romana Bruno e Pasquale Quaranta

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