ROMA — C’è un numero che può dare una sterzata all’esito del G20 di Roma: 150. Tre cifre su cui si sta orientando l’intero negoziato del summit: 150 miliardi di dollari. Il possibile stanziamento a favore dei Paesi in via di sviluppo per affrontare nei prossimi anni la transizione ecologica. È la mediazione di Mario Draghi. È l’importo che la presidenza italiana ha messo ieri sul tavolo per evitare che il documento finale subisca la torsione della vaghezza. E che per tutta la notte è stato al centro dei negoziati tra gli sherpa dei venti “Grandi”.
Tutto si basa sull’accordo di Parigi per tenere sotto controllo l’aumento delle temperature globali. E prevede l’erogazione fino al 2025 di 100 miliardi l’anno per aiutare i più fragili a fronteggiare la transizione ecologica. L’idea per segnare in modo positivo il vertice di Roma e affrontare quello della Cop26 la prossima settimana a Glasgow, allora, è mettere sul piatto della bilancia un incremento di quel fondo. Portarlo da 100 a 150 miliardi. Un modo per incoraggiare i più riottosi ad accettare la sfida. E soprattutto per fermare la contromossa di Pechino e Mosca: portare la discussione solo sul tavolo dei 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu: Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia. Uno stratagemma per far fuori l’Unione europea e soprattutto per prendere tempo e rinviare il confronto.
Il tentativo del premier italiano con l’appoggio del britannico Johnson, però, non si è fermato. I due, del resto, sono co-presidenti della Cop26. Anzi, l’esponente britannico non ha nascosto che la strada è proprio quella di «andare oltre negli impegni finanziari a favore del clima per aiutare i Paesi in via di sviluppo a crescere in modo pulito e sostenibile».
Un percorso immaginato dopo il secco “no” della Cina a premere sull’acceleratore delle misure in difesa del clima. E dopo i dubbi dell’India. Pressioni e sospetti che ieri hanno portato all’elaborazione di una bozza di documento finale a dir poco vaga. Secondo quella formulazione, il G20 dovrebbe confermare l’intenzione di limitare il global warming a 1,5 gradi, ma senza impegni stringenti. Si parla solo di «azioni significative ed efficaci». Poi, però, non si menzionano «azioni immediate» e manca il riferimento all’obiettivo di emissioni zero entro il 2050 salvo un generico «entro la metà del secolo». Per rompere questa spirale, è indispensabile l’appoggio dei Paesi più in difficoltà. Fondamentale il sostegno dell’India per isolare le rigidità di Pechino. Mettere quindi sul tavolo più soldi è uno degli strumenti per allargare la “alleanza ambientalista” a chi teme di perdere la crescita accettando il contenimento dell’inquinamento. Basti pensare che la Cina negli ultimi mesi sta rastrellando gas, petrolio e carbone per alimentare la ripresa post-pandemica. E lo fa accettando di acquistare le risorse energetiche a qualsiasi costo. Provocando così tre effetti: impoverimento dei più poveri, aumento dei prezzi e del tasso di inquinamento.
La strategia di Draghi, infatti, è stata tutta rivolta a tendere la mano alle nazioni meno ricche. Ritorno al multilateralismo («unica risposta possibile, dalla pandemia a clima e tassazioni»), incoraggiamento alla distribuzione dei vaccini in tutto il mondo anche ricorrendo alla sospensione dei brevetti («le differenze nel mondo sono moralmente inaccettabili, almeno il 70% della popolazione va vaccinata entro il 2022»).
Per di più la mano tesa verso l’India e i Paesi in via di sviluppo rappresenta anche uno modo per arginare l’espansionismo cinese nell’indopacifico e in Africa. Prospettiva cui gli Usa sono particolarmente attenti. E di cui anche ieri Biden e Draghi hanno parlato dopo lo scontro della scorsa estate tra Washington e la Ue (in particolare la Francia) sulla cosiddetta alleanza Aukus.
Probabilmente non è un caso che il premier indiano Modi, dopo l’incontro bilaterale con il presidente del Consiglio, abbia messo nero su bianco una frase che ha di fatto riaperto i negoziati sul documento finale: «C’è un potenziale immenso per incrementare le relazioni economiche, la cooperazione culturale e per lavorare insieme per un pianeta più attento all’ambiente». L’esito della trattativa, però, lo si capirà solo a notte inoltrata.