In commissione antimafia, (sì, anche in commissione antimafia) c’è un mistero che ruota attorno a Luca Palamara. Il presidente Nicola Morra, sempre lui, non desiste dall’idea di convocare in audizione l’ex presidente dell’associazione magistrati. Il Pd fa le barricate, i Cinque stelle scaricano il loro presidente, il centrodestra fa incetta di popcorn di fronte ad una commedia incredibile.
Morra vuole Palamara in commissione per sentirlo su alcune intercettazioni riguardanti gli inquietanti dialoghi con l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, esponente del Pd, che al telefono appariva come il grande protettore di Federico Cafiero de Raho, asceso poi a capo della procura antimafia.
Conversazioni imbarazzanti ma altro deve essere – sostiene più di un membro della commissione – il boccone ghiotto cui punta Morra. E sottovoce si fa il nome di Nino Di Matteo, il magistrato dello scontro frontale con Alfonso Bonafede, l’ormai ex guardasigilli.
L’altroieri c’è stata una seduta surreale della commissione antimafia, durata un’ora e un quarto con ben tre sospensioni per la mancanza del numero legale. La richiesta continua di verifica della presenza dei parlamentari – latitanti – l’ha fatta per ben tre volte Piero Grasso, che come un oppositore qualsiasi è arrivato al limite dell’ostruzionismo. Perché bisognava prendere tempo per non decidere sulla pretesa del presidente della commissione di convocare proprio Palamara, con il Pd rigidissimo sul no ad ascoltarlo. E i Cinque stelle? Praticamente non c’era nessuno di loro, se non una timida rappresentanza. A conferma di un clima di ostilità verso Nicola Morra, che prima riguardava il centrodestra e ora lo schieramento opposto. I suoi devono fargli pagare, ad esempio, il no al governo di Mario Draghi e tanti casini provocati al povero Alfonso Bonafede quando stava alla giustizia.