«Ho iniziato negli anni settanta a Milano con l’azienda di mio padre. All’epoca si usava utilizzare i taxi e gli autobus per fare pubblicità, e i cartelloni per strada per promuovere eventi e prodotti». Quando gli si fa notare che in Italia, in verità, è tutto rimasto invariato fino al 2019, non si sorprende, ma sorride.
George Guido Lombardi è americano di adozione, ma italianissimo di nascita e di estrazione, tradito dal suo eloquio impeccabile e da uno smisurato amore per la vita in ogni suo aspetto. Non filosofeggia di arte e di cultura, ma rispetta entrambe per la bellezza che trasmettono.
È noto alla cronaca politica come consigliere e amico di Donald Trump, ma è un abito che gli sta stretto: Lombardi nasconde un fascino da business man che ne ha viste molte e che offre tante soluzioni. Alcune delle quali le ha tratteggiate in un suo recente lavoro bibliografico sulle dinamiche economiche mondiali, e che vedrà a breve un seguito con la seconda edizione.
Da buon americano non ama nascondersi dietro le parole, ma eleva il suo pensiero in maniera cruda e diretta, come quando definisce la pressione fiscale italiana «troppo alta, al confine con il ridicolo». E spiega il concetto: «Emotivamente, mi viene da piangere se penso che ci sono persone che in Italia si accontentano di lavorare per 4€ l’ora. Non è dignitoso, non è rispettoso dell’uomo e della sua persona». O come quando si addentra nell’aspetto della religione: «Non si tratta di aver fede – spiega deciso George G. Lombardi – io ci credo, per me è una certezza, non è solo la logica che dimostra che esiste una entità superiore. Basta dare un’occhiata ai fiori, al sole, alla natura. Devi essere «deficiente» per pensare che tutto questo sia solo frutto del caso. La nostra è una civiltà giudeo-cristiana, con comandamenti e regole di vita, che guidano esattamente l’uomo su come comportarsi. Contravvenire alle stesse, quasi sempre ti crea dei problemi».
Opportunamente sollecitato, l’immobiliarista e media consultant diventa prodigo di opinioni e particolari: «La campagna elettorale americana è un grande evento, il più grande, per molti aspetti – afferma – Trump non era neanche convinto di candidarsi, ma quando ha iniziato a demolire tutti gli eleggibili repubblicani, gli ho detto: Donald, candidati tu allora! Lui non credeva nemmeno che il partito lo candidasse e gli desse l’opportunità di farlo.
A quel punto mi ha chiesto informazioni su un certo Silvio italiano, cosa sapessi di lui, cosa ne pensassi di quel che aveva fatto quel miliardario nel mio paese di origine. Abbiamo parlato, dibattuto, e lui ha così preso la decisione di mettersi in gioco, perché solo lottando da dentro si può fare qualcosa. E l’ha fatta, prima nel partito, poi contro i democratici e la Clinton».
A proposito dell’ex first lady e rivale, Trump ha dovuto fare i conti anche con una presa di posizione inattesa, quella di Amanda Knox: «Lui si è sentito molto tradito da lei quando ha scoperto che appoggiava la Clinton – conferma Lombardi – non tanto perché non potesse farlo, visto che ognuno è libero di scegliere, quanto perché non ha neanche detto grazie per l’intervento che Trump gli aveva concesso pagando i suoi avvocati nella causa in Italia. L’ingratitudine lo ha colpito».
Ma alla fine è stata una campagna trionfale, anche grazie all’aiuto dello stesso amico italo-americano, che però si sminuisce: «Da privato ho sviluppato una campagna social per Donald, che ha prodotto 12 milioni di seguaci. Penso che questo, forse, gli abbia potuto dare una mano».
Lombardi, peraltro, dimostra di conoscere anche la situazione politica italiana molto da vicino: «I cinque stelle hanno lavorato molto con internet, non con i social che invece Salvini ha dimostrato di saper utilizzare molto meglio di loro. Per il resto, Pd e Forza Italia sono abbastanza indietro in questo momento, mentre Fratelli d’Italia un po’ meglio, ma ancora troppo lontano».
Ospite di Radioriskiozero, George Lombardi non si sottrae neanche alla querelle del momento, i dazi imposti da Trump nei confronti della Cina, dimostrando di conoscerne dinamiche e presupposti molto meglio di navigati economisti e giornalisti inviati in America: «Trump è per i dazi zero – afferma perentorio – ci dovrebbe essere maggiore liberalizzazione dei mercati, ovunque, in tutto il mondo, negli States, in Europa, in Cina e in Canada, senza protezionismo.
Solo così si potrebbe avere una concorrenza leale. Ma se c’è un governo che sussidia le acciaierie del proprio paese, e magari mette dazi del 100% ai tuoi prodotti come le Harley Davidson, allora diventa concorrenza sleale». Poi un risvolto emozionale e privato, legato alla tragedia dell’11 settembre, che lo fa diventare serio, pensieroso, riflessivo, incupito nel suo salto a ritroso nel tempo: «Ero in Italia in quel periodo – ricorda – avevo il biglietto aereo per tornare negli States prenotato per il 10 settembre. Se non avessi perso il volo, il giorno dopo sarei andato come tutte le mattine a prendere il caffè al World Trade Center e sarei rimasto seppellito lì.
Ho scoperto tutto la mattina stessa, da una telefonata di mia moglie, che mi chiamò per dirmi di un aereo schiantato contro le torri gemelle. Scoprimmo dopo che non era stato un incidente, come per il piccolo aereo al Pirellone di Milano. Mi sento fortunato per questo».
E non ne fa mistero neanche se interrogato sul futuro: «Non ho paura di nulla, sono semplicemente realista. Io vedo una strada luminosa e tutta in discesa».