La Waterloo della destra. La sconfitta ha il volto di Giorgia Meloni. Il candidato che aveva scelto nella sua Roma, Enrico Michetti, viene battuto con più di venti punti di distacco dal democratico Roberto Gualtieri. Matteo Salvini aveva già perso nella sua Milano, due settimane fa, addirittura al primo turno. Non è un buon viatico per due leader che aspirano a governare l’Italia. La Capitale, nelle intenzioni della leader di Fratelli d’Italia, doveva rappresentare il trampolino di lancio in vista della conquista di palazzo Chigi. Invece si rivela un incubo. Finisce addirittura 5-0 per il centrosinistra il match nelle grandi città. Milano, Napoli, Bologna, Roma, Torino sono dei progressisti. Al centrosinistra vanno anche Caserta, Cosenza, Isernia, Savona. Si afferma anche in feudi storicamente di destra, come Latina, o leghisti, vedi Varese. Il centrodestra conquista soltanto Trieste. E a Benevento Clemente Mastella ha la meglio contro un candidato del Pd.
“Una vittoria trionfale”, commenta euforico il segretario democratico, Enrico Letta, che adesso ha buon gioco nel rivendicare di portare a termine la legislatura con Mario Draghi premier e di guidare la cruciale partita per il Quirinale. Per eleggere il successore di Sergio Mattarella auspica perciò “una maggioranza larga”. Un dialogo col centrodestra, ma da una posizione di forza. L’affermazione di Roberto Gualtieri a Roma e di Stefano Lo Russo a Torino è così schiacciante che già alle quattro del pomeriggio, un’ora dopo la chiusura dei seggi, i due possono presentarsi dinanzi ai flash dei fotografi. A sera Letta, Gualtieri e Nicola Zingaretti si presentano in piazza Santi Apostoli, il teatro dei trionfi dell’Ulivo, alzando le mani al cielo. È una foto che può cambiare il corso dei prossimi mesi. La festa inizia con I nostri anni di Tommaso Paradiso e si chiude con Bella ciao. Pacche sulle spalle a Goffredo Bettini, appostato dietro il palco. Applausi quando Gualtieri ringrazia Carlo Calenda, fischi quando cita Virginia Raggi.
“Credo che ci si debba vedere questa settimana: ho già parlato con Berlusconi, lo farò con Salvini”, è la reazione di Giorgia Meloni. “C’è un tema che ci penalizza: i tre partiti hanno tre posizioni differenti. Ciò crea disorientamento nell’elettore”. Chi l’avrebbe detto, mesi fa? Il centrodestra aveva i sondaggi dalla sua. Ha sbagliato i candidati. Ma forse, nel frattempo, è cambiato anche l’umore del Paese. La gente rifugge dagli estremismi. Vuole serietà e vaccini per uscire dalla pandemia, e protezione: quella è garantita al momento dai soldi dell’Europa. L’ondata populista e ribellistica sembra essersi prosciugata. Ma il malumore non è scomparso. Si è soltanto inabissato, facendosi disimpegno. Un silenzio stizzito, come dimostra il terrificante dato dell’astensionsimo. Il più alto di sempre. È andato a votare soltanto il 43,94 per cento nei 63 Comuni chiamati a scegliere il primo cittadino; a Roma l’affluenza si è fermata al 40,68 per cento, a Torino al 42. Numeri impietosi. Gualtieri ha ottenuto 550mila voti, Virginia Raggi, cinque anni fa, ne ebbe 770mila. Walter Veltroni, nel 2001, 877mila; Francesco Rutelli nel 1993 955mila. Stefano Lo Russo a Torino ha vinto con 168mila voti, nel 2016 l’Appendino ne aveva presi 292mila.
Le periferie hanno tradito Enrico Michetti a Roma, ma lo scontento interpella anche il centrosinistra. Sono elettori che possono determinare l’esito delle prossime politiche. Letta esce rafforzato da questo cimento. Il sostegno a Mario Draghi ha premiato. Il segretario dice che gli elettori si “sono saldati e fusi nella coalizione larga che ho voluto costruire”. Ma a Torino e Roma la vittoria è arrivata senza l’apporto formale del M5S.
I Cinquestelle al contrario vengono fortemente ridimensionati. Le ragioni storiche che avevano condotto al 32 per cento nel 2018 si sono dissolte. Il futuro è incerto. Giuseppe Conte ha commentato con freddezza l’onda democratica, distillando una nota dolente sull’astensionismo. “A Roma, Torino, e Trieste saremo all’opposizione”, ha aggiunto amaro l’ex premier. Il campo del centrosinistra così è da ricostruire, anche perché le politiche non sono le grandi città. Qui progressisti spadroneggiano. Guidano le cinque città più grandi. Otto delle dodici con più di 250mila abitanti. Diciassette delle venticinque con più di 150mila abitanti. Nel computo dei due turni il centrosinistra conquista 13 capoluoghi su venti, riprendendosi Roma e Torino dopo la parentesi a guida grillina. Nessuna delle due era scontata.
il m5s
La caduta vertiginosa del M5s senza più sindaci. Conte: “Nelle città all’opposizione”
di
Giovanna Casadio
18 Ottobre 2021
La prova generale per il centrodestra al governo è fallita. Giorgia Meloni e Matteo Salvini escono, nella percezione, rimpiccioliti. Devono riaggiornare la loro strategia. Matteo Salvini ha cercato di dissimulare la delusione: “Lo zerovirgola in più o in meno in questo momento non mi preoccupa. Il nostro obiettivo è vincere le elezioni politiche tra un anno”. Il centrodestra chiude questo giro con soli quattro capoluoghi: Trieste, Pordenone, Novara, Grosseto.
“Non dobbiamo montarci la testa”, ha ammonito Letta. “Lei è bravo ma anche fortunato?”, gli hanno domandato. “Era importante dimostrare che possiamo essere un’alternativa vincente. Non è detto che la destra vinca ineluttabilmente in Italia”. Il fattore C conta anche in politica